sabato 14 maggio 2011

Il convento della Vandea

Come promesso aggiungo un pezzetto al racconto e visto che questo è un work in progress, cambio anche il titolo.
 Ecco l'inzio di un mio racconto, da ora in poi editerò questo pezzo aggiungendo di volta in volta qualche parte di racconto.
Buona lettura di questa mia specie di personalissima versione di un  feuilleton.

Il buco nero della canna del moschetto guardava dritta verso di lui, ancora un attimo, il tempo di un battito di ciglia e un proiettile da un'oncia gli avrebbe attraversato il corpo.
L'unico pensiero che in quei pochi istanti, passava per la mente a Jean Paul Labouret tenente degli ussari dell'esercito repubblicano francese era che la sua uniforme nuova si sarebbe macchiata in modo irreparabile.
<<Un pensiero dannatamente stupido prima di morire.>>
Si disse mentre il cane del moschetto cominciava la sua mortale corsa.
Click.
Il moschetto aveva fatto cilecca, l'incredibile fortuna degli ussari, fece in tempo a pensare il giovane tenente, subito prima che un colpo devastante gli arrivasse dritto per dritto sulla nuca.
Buio.
Buio e silenzio.
Buio e silenzio, anzi no, un rumore c'era, era un'insistente, fastidioso pling-pling che si succedeva con ritmo monotono e ripetitivo, una goccia d'acqua che da qualche parte in alto gocciolava sul pavimento.
Quel rumore, per quanto tenue fosse, risvegliò Jean Paul dallo svenimento in cui era caduto quando uno dei ribelli dell'esercito cattolico e reale, come si facevano chiamare i ribelli della regione francese della Vandea, lo aveva colpito alla nuca con il calcio del suo fucile dopo che l'arma del suo compagno aveva fatto cilecca.
Questi ribelli avevano accerchiato e fatto a pezzi l'unità di ussari di cui faceva parte il tenente  con un agguato da manuale, sorprendendoli mentre i cavalleggeri stavano compiendo un giro di perlustrazione in mezzo alla foresta.
I suoi due compagni e il capitano Le fevre erano crepati durante la prima scarica, partita da in mezzo al sottobosco, il giovane ussaro era stato fortunato, la pallottola destinata a lui l'aveva invece ricevuta il suo cavallo, Grimaud.
<<Povera bestia.>>
Mormorò Jean-Paul cercando di mettersi in piedi, una mano alla nuca dolorante, l'altra a tastare il pavimento; freddo, e decisamente viscido.
Il cervello sembrava sul punto di esplodergli in mille pezzi, sulla nuca un grosso bernoccolo gli lanciava delle dolorose fitte di protesta ogni volta che osava sfiorarlo.
<<Dove diavolo sono finito?>>
Il tenente si sorprese a sussurrare, quasi che la sua voce potesse risvegliare qualcosa di spaventoso.
Il rumore stridente di metallo su metallo fece eco alle sue paure, poi una piccola lama di luce si fece largo nel buio, una porta veniva aperta di fronte a lui.
<<A quanto pare il nostro ospite si è svegliato.>>
La voce gracchiante apparentemente veniva da una tozza figura che, stagliatasi in controluce, risultava nera nel bianco accecante della porta.
<<Pare che cosi sia Armand.>>
Un'altra voce, squillante al limite del fastidioso si aggiunse alla prima.
<<Pare proprio che sia cosi.>>
Ripeté il possessore di voce che, forse più timido del compagno rimaneva celato e quindi faceva al prigioniero uno stranissimo effetto, quasi che fosse la voce di un qualche dio bambino che si divertisse a rimanere tra le quinte.
<<Forse che dovremmo fare due chiacchiere con il signore?>>
Disse il tozzo facendo qualche passo avanti.
<<Penso che sia un'ottima idea Armand.>>
Rispose la voce dello squillante.
<<Un'ottima idea davvero.>>
jean-Paul si chiese se il tizio dalla vocetta dovesse sempre ribadire la prima frase con la seconda, “Un'abitudine dannatamente fastidiosa” si disse l'ussaro mentre osservava il tozzo farsi avanti, passetto dopo passetto, fino a trovarsi in piedi di fronte a lui.
<<Una chiacchierata.>>
Il sorriso che l'ussaro vide disegnarsi sul viso butterato del tozzo non gli fece un effetto molto rassicurante.
<<Una bella chiacchierata è proprio quello che ci vuole per fare conoscenza.>>
Disse l'uomo subito prima di far volare il pugno destro dritto sui denti del prigioniero.
<<Una bella chiacchierata, si, è proprio quello che vuole.>>
Arrivò l'inevitabile replica di squillante.


Gli alberi fiocamente illuminati dalla luna si dispiegavano come un reticolo di forme minacciose nella notte mentre la figura camminava a passo lento in mezzo a loro, un mantello nero ne nascondeva  quasi completamente il busto, mentre un tricorno ne celava il viso.
La figura veniva da lontano ed ora che ogni lento passo in avanti lo avvicinava sempre di più alla sua meta, l'impazienza nel suo cuore cresceva.
Un passo, un altro e un altro ancora, inesorabile la figura continuava, il battito del suo cuore  interiore testimone della sua brama.
<<Presto!>>
Mormorò una voce roca alla notte.


Il tozzo aveva decisamente la mano pesante, un destro seguito da un sinistro allo stomaco, poi venne il turno dello squillante; un calcio e poi subito un' altro, lo squillante decisamente preferiva usare i piedi, alla bocca dello stomaco e Jean Paul vomitò la sua ultima, ormai remota cena sul pavimento della cella.
<< Sarebbe che è un piacere discutere con questi repubblicani vero Antuan?>>
Chiese il tozzo all'amico.
<<Certo che si, Armand, è proprio un vero piacere scambiare quattro chiacchiere con un repubblicano.>>
E giù un altro calcio nelle costole del povero tenente, che si era raggomitolato su se stesso nel vano tentativo di proteggersi il viso.
<<Quattro chiacchiere tra amici.>>
Ribadì il concetto per l'ennesima volta lo squillante afferrando l'ufficiale per il colletto della camicia e tirandolo su come se fosse un gattino preso per la collottola.
<<E' vero che è una piacevole discussione signor ussaro?>>
Chiese l'uomo preparandosi a sferrare un calcio in mezzo alle gambe all'ormai semi svenuto ufficiale.
<<Basta così Armand.>>
La voce, roca e sensuale di una ragazza penetrò a forza nella orecchie dell'ussaro costringendolo suo malgrado a fare l'inusitato sforzo di aprire gli occhi semi chiusi dai lividi che già andavano formandosi.
<<Mi sembra che il nostro ospite ormai non sia più in grado di gustarsi i piaceri di una sana discussione.>>
A quella parole, lo squillante che si era bloccato con la gamba destra alzata a mezz'aria lasciò il tenente che in balia della forza di gravità sbatte a culo a terra con tutti i suoi dolori.
<<Se lo dice lei contessina, per noi è un'ordine.>>
Disse il tozzo levandosi persino il cappello in direzione della ragazza.


La sciabola fendette il cranio del ribelle fino al mento.
Un urlo di esultanza, uno strattone alle redini e il baio del capitano Raussou si slanciò verso un altro bersaglio.
L'agguato procedeva bene, lo squadrone di ussari del terzo reggimento aveva trovato la colonna di Vandeani ribelli in marcia esattamente dove il traditore gli aveva indicato, dopo il “trattamento” ricevuto dai suoi ragazzi.
Al capitano non piaceva dover ricorrere a simili mezzi, ma la guerra era guerra e i ribelli non si tiravano certo indietro quanto ad atrocità. Il pensiero gli corse subito alla sua pattuglia massacrata solamente il giorno prima dalle truppe degli insorti.
<<Bastardi.>>
Mormorò tra se e se il militare, puntando un uomo in fuga e alzando la sciabola per colpire.
Gliela avrebbe fatta pagare a quei maledetti.
<<Morte!!!>>
Urlò Raussou calando la sua lama sul cranio del fuggitivo in un tripudio di sangue e cervella.

Il vino era buono, ma diavolo come bruciava. Jean Paul mandò giù un'altra piccola sorsata e reprimendo la smorfia di dolore che il labbro spaccato in più punti gli procurava a contatto con il vino liquoroso, si guardò intorno, Squillante e il tozzo erano ancora lì, immobili come statue esattamente dove si trovavano da che il tenente aveva ripreso conoscienza, i due che erano appoggiati spalle al muro poco fuori dalla cella, se ne stavano lì a parlottare tra  loro a bassa voce, ogni tot tempo, con cadenza regolare uno dei due buttava un'occhiata dentro la cella a controllare che tutto andasse per il verso giusto. Guardiani attenti e scrupolosi.
Questo non stupiva affatto Jean Paul, lui era un prigioniero in fin dei conti, un prigioniero talmente malridotto da non riuscere neanche a stare in piedi, ma sempre un prigioniero, era normale che che i due cerberi lo tenessero d'occhio. Quello che non era invece normale era il sorriso con cui la ragazza in piedi di fronte a lui lo guardava.
Non era neanche normale che quella bellezza in pantaloni e camicia lo avesse salvato dal pestaggio e dopo gli avesse pure offerto un bicchiere di vino per farlo bere.
La ragazza accentuò il sorriso e come sse avesse letto nei pensieri dell'ussaro se ne venne fuori con una domanda che fece trasalire dalla sorpresa l'ufficiale francese.
<<Davvero non ti ricordi di me?>>

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